VENERDì SANTO
... entrare in una chiesa il Venerdì Santo è un’esperienza che può solo lasciare attoniti. Guardiamo il tabernacolo, ed è aperto e vuoto, come fosse stato spogliato. L’altare non ha tovaglia né
ornamenti: solo la nuda pietra. Se cerchiamo una croce, non la troviamo: è stata rimossa, o
nascosta allo sguardo da un velo. Siamo lì come fossimo in un qualche luogo sperduto, frugando
tra il silenzio e le macerie. Ci troviamo in una situazione parallela a quella descritta nel Vangelo di
Giovanni quando i messaggeri vestiti di bianco chiedono alla Maddalena: “Donna, perché
piangi?” Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto” (Gv 20,
13).
È vero che troppe volte il cristianesimo (il nostro, per lo meno) corre il rischio dell’eccesso:
troppe parole, accumuli di simboli e di ritualismI... Il giorno del Venerdì Santo è l’opposto: avviene una drammatica riduzione. Lo spazio religioso si svuota fino all’osso; diventa semplicemente anonimo; nulla lo distingue da qualsiasi altro luogo desolato sulla terra. La liturgia che si celebra in quest’occasione inizia con un silenzio rigoroso, e quando i presbiteri arrivano
nella zona dell’altare si prostrano a terra, giacendovi a lungo, come inanimati, mimando con il proprio corpo l’abbandono che tutta la comunità è chiamata a sperimentare. Che fitto enigma è questo? Dove ci porta questo procedere incerto, questa celebrazione così spoglia, questo radicale denudamento? L’unica risposta è: ci porterà al nocciolo ardente dei misteri cristiani, che in verità sono puro scandalo, stordimento e follia, poiché i cristiani credono in un Messia crocifisso, in un salvatore che salva non attraverso la forza, ma attraverso l’impotenza. È ciò che San Paolo esplicita nella Prima lettera ai Corinzi: "Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo... e
stoltezza" (1Cor 1,22).
Davvero il cristianesimo opera una coraggiosa inversione di paradigma: mentre la religiosità naturale porta l’uomo a cercare un Dio potente in aiuto alla sua vulnerabilità, il cristianesimo rinvia continuamente l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio. In questo caso, la fede cos’è? La
fede è prendere parte alla sofferenza di Dio nel mondo, abbracciando e prendendosi cura di
ognuno che soffre, facendosi carico solidariamente della responsabilità di questa storia, credendo che nel mistero pasquale essa diventa stagione e promessa della storia della salvezza.